Il
libro "La casa
del colonnello" sta
avendo un notevole successo, tanto che molti artisti noti si sono resi
disponibili nello sposare questa causae sta diventando virale il farsi
fotografare con in mano il libro di Alvise (vedi foto con Sergio Muniz, Lucia
Bramieri, Claudia Peroni). Il tutto per sostenere il progetto di Iacopo Melio, ragazzo di 24 anni,che da due anni porta
avanti una campagna nazionale, diventata Onlus,
chiamata " #vorreiprendereiltreno ", per sensibilizzare all’abbattimento
delle barriere architettoniche e sociali.
Con più
di 400.000 persone che ogni giorno seguono e sostengono l’associazione sui social network, la voce
di #vorreiprendereiltreno si sta espandendo a macchia d’olio, toccando
tappe sempre più importanti come quella al Parlamento Europeo.
La
campagna di sensibilizzazione di questo autunno è sostenuta dell'autore Alvise
Lazzareschi. Alvise attraverso una parte dei proventi ricavati dalla vendita
della sua ultima opera letteraria "la casa del colonnello "edita da
Rizzoli sosterrà in maniera attiva la ONLUS, inoltre ad ogni presentazione
"quando è possibile "interverrà Iacopo con una diretta Skype o di
persona,per spiegare come sia l''ironia che la cultura possono essere un ottimo
veicolo per abbattere le barriere architettoniche.
LA CASA DEL COLONNELLO AUTORE:
ALVISE LAZZARESCHI CASA EDITRICE: RIZZOLI
«LA CASA del colonnello» è un
romanzo autobiografico, parla della storia di Alvise, cavatore di Colonnata,
figlio e nipote di cavatori – la casa del colonnello è la sua di casa, e il
colonnello è un suo avo – ma è anche la storia di chi ha vissuto intorno a lui,
in quel mondo che oggi non esiste più, o meglio, come preferisce dire lui
stesso, in quel mondo che si è trasformato. Il romanzo è una serie di racconti,
ognuno con il suo inizio e la sua fine, che definiscono il «mondo» di Alvise.
Ma in realtà è un omaggio ai monti Apuani , ai paesi e le genti di questi
luoghi, ma soprattutto ai cavatori. Nessuno, prima, aveva raccontato le cave, e
chi ci lavora, in questa maniera. E questo è un altro dei meriti di questo
bellissimo romanzo. Nel prologo Alvise racconta la sua vita in un giorno, un
giorno di lavoro in cava. Ci sono l’emozione e la tensione della «bancata», c’è
la la lizzatura, c’è il suono del «mugnone», che avvisava il paese di un
incidente sul lavoro con la corsa isterica delle donne per sapere il nome
della… vittima. E c’è «Valzerlento», il soprannome di un famoso capolizza degli
anni ’40, di cui nessuno conosceva il vero nome, chiamato così perchè, essendo
anche un po’ claudicante, camminava che sembrava danzare, specie dopo aver
fatto il giro delle cantine. Tutti i racconti, che Lazzareschi riesce a mettere
insieme in una trama unica, sono affascinanti e lasciano qualcosa dentro. Come
il racconto del «cudurzin». E’ «l’uccellino dalla coda rossa – scrive Alvise –
amico dei cavatori, che a differenza degli altri uccelli non si costruisce il
nido tra le fronde degli alberi, ma vive tra gli anfratti delle rocce, lassù,
nelle vette più alte, e viene verso di noi per portarci un po’ di pace, per
proteggerci, sollevare i nostri cuori dalla cappa che li opprime». Nessuno ha
mai visto il cudurzin ma tutti sanno che c’è, un po’ come l’Araba Fenice. E non
poteva mancare l’amore, con due storie memorabili: quella tra il colonnello,
che dà il titolo al romanzo, e una nobile veneziana, che vissero il loro breve
ma intenso amore a Colonnata, e quella del giovane Valdemaro, il «filista»
della cava, e di Selene, 14 anni, una delle donne che portavano (in testa), dal
fondovalle alle cave, i sacchi di iuta pieni della sabbia (rena) che serviva
per tagliare il marmo. Bastò uno sguardo per stare insieme tutta la vita.
Nell’introduzione di Rizzoli al
libro di Alvise Lazzareschi c’è questa definizione del cavatore: «Un cavatore
conosce una sola unità di misura. Se ama, ama “a tonnellate”; se odia, detesta,
combatte, o fa gli auguri di compleanno, segue lo stesso ordine di grandezza».
Questa invece l’introduzione al libro: «Sono imponenti come cattedrali, le
bianche pareti delle cave sulle Alpi Apuane. La polvere di marmo ricopre le
braccia abbronzate dei cavatori, attenuando i contrasti sotto il sole che batte
senza pietà. In mezzo a loro sta un uomo e osserva lo scorcio di mare che, ai
piedi delle montagne, si confonde con il cielo. Ha appena compiuto 55 anni e
sente che è arrivato il momento di guardarsi indietro. Così, la sera, tira
fuori da un cassetto una vecchia scatola di latta colma di fotografie, e il
diario scritto tanto tempo prima da suo padre. Sfiorando quelle immagini e quei
racconti, insegue i ricordi dell’infanzia a ritroso in un’epoca magica in cui
realtà, sogno e leggenda si mescolano. Dalla memoria riaffiorano rumori,
oggetti, volti e storie: come quella del colonnello che lassù costruì una
grande casa per accogliere la sua amata, una nobildonna veneziana; o della vedova
che al tramonto ballava con la sua mucca. Per l’uomo, rivivere quelle emozioni
genera stupore e domande sul mistero della vita, sul tempo che tutto travolge
eppure mantiene inalterato il senso di appartenenza a una comunità orgogliosa e
felice».
Alvise Lazzareschi CAVATORE
Così si definisce Alvise Lazzareschi, 58 anni a luglio, anche se in realtà è il
titolare di due cave (Olmo e Z). «Ma questo – spiega – è l’unico settore
d’impresa dove tutti sono cavatori, anche il titolare e l’operaio». E il libro è
anche un omaggio ai cavatori. «Sì, ho voluto raccontare il loro mondo. Io ero
bambino negli anni ’60 e ho visto gli ultimi lizzatori, ho visto il lavoro dei
cavatori quando era fatto a mano». E oggi che le cave sono sotto attacco? «In
effetti è un mondo che è bistrattato e aggredito da più parti. Ma in questo
romanzo non c’è politica, non c’è polemica. Ci sono ricordi. Se poi i cavatori
ne escono bene sono contento. Il cavatore ama la cava e ama la montagna».
Alvise, come detto, è cavatore figlio di cavatori. Non ha memoria di un suo
antenato che non lo sia stato. «Il primo giorno che mio babbo, Mauro
Lazzareschi, non si è presentato in cava è morto. Era il 2003, aveva 83 anni,
ebbe un infarto. E mia mamma, che non lavorava in cava perchè questo resta un lavoro
di uomini, era figlia e nipote di cavatori. Lei ci ha lasciato da poco, si
chiamava Simonetta Cattani, era molto conosciuta per aver insegnato tanti anni
storia dell’arte al classico». Da poco Alvise è diventato nonno: la figlia
Fabiola, con Giacomo Rutili, ha dato alla luce Filippo. SOLIDARIETA’.
Anche Alvise è noto in
provincia e non solo per il suo lavoro. Da sempre organizza cene e feste con
gli amici a Colonnata. E c’è anche la solidarietà perchè, come afferma Alvise,
«la beneficenza è un’emergenza». Nel 2010 ha creato un’associazione sui
generis, «I non tesserati» (non ci sono iscritti, non c’è quota associativa),
per raccogliere somme a favore dell’associazione Ciai di Milano (tra i
fondatori anche Raimondo Vianello) che si occupa di infanzia e di adozioni a
distanza. A tal scopo Alvise ha organizzato due spettacoli musicali: il primo
al Teatro dei Rassicurati di Montecarlo e il secondo nel piazzale della sua
cava Olmo a cui presero parte circa mille persone. Il denaro raccolto, oltre
16mila euro, è servito per un progetto di scolarizzazione in Etiopia. Inoltre,
dopo l’alluvione in Lunigiana, ha organizzato un concerto all’Accademia di
belle arti a Carrara.
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