Franco D'Andrea è uno dei più grandi musicisti della scena contemporanea. Dentro la sua musica sono confluite e hanno avuto un ruolo importante le esperienze del Novecento Storico, soprattutto della Seconda Scuola di Vienna, la musica africana, l'Avanguardismo Americano. Eppure la sua prospettiva è squisitamente jazzistica. È quella di un musicista, nato e cresciuto dentro l'estetica e l'etica del jazz, che ha costruito il proprio linguaggio attingendo a piene mani anche altrove.
Il Serialismo, quale scelta tematica e improvvisativa del Modern Art Trio, negli anni Settanta, insieme a Bruno Tommaso e Franco Tonani, lo ha portato alla maturazione del personalissimo concetto di Aree Intervallari, oggi alla base del suo linguaggio armonico e melodico.
Sempre negli anni Settanta, grazie alla militanza nel Perigeo di Giovanni Tommaso, ha sperimentato con i timbri e la potenza della musica elettronica. La scoperta della psicanalisi lo ha portato a incidere due meravigliosi dischi in piano solo negli anni Ottanta nei quali la musica emerge come flusso di coscienza. La musica africana, con le sue poliritmie, ne ha permeato il linguaggio ritmico e ha donato una dimensione rituale alle sue performance.
Il jazz classico, il grande amore che lo ha avvicinato alla musica da ragazzino, ha donato alla sua musica una dimensione democratica e collettiva, evidente soprattutto nelle performance col sestetto degli ultimi anni. Una dimensione che, insieme all'influenza di Charles Mingus, dell'ultimo Gil Evans, del free e dell'AEOC, lo ha portato a sperimentare con le forme e, alle volte, a romperle, alla composizione istantanea, all'opera aperta. Chi, oggi, avesse la fortuna di vedere la scaletta di un concerto di D'Andrea, si troverebbe davanti una matrice delle possibili combinazioni di brani, di pedali, di tempi, di riff.
Intervals, va ancora oltre, è il culmine di una ricerca che dura da decenni. Una ricerca che non produce risposte, ma ogni volta nuovi quesiti e nuove esplorazioni.
Esso racchiude in un unico mondo sonoro, coerente e unitario, i molti mondi visitati da Franco D'Andrea nel corso della sua lunga carriera. Mondi a volte poco frequentati nel corso degli anni, come quello dell'elettronica, ma rimasti nella memoria. Ed è rivelatore che l'esito di tanto viaggiare sia un'indagine serrata sull'elemento più piccolo dell'organizzazione musicale: l'intervallo. L'elemento minimo in grado, sia dal punto di vista armonico che melodico, di caratterizzare e orientare la sonorità di un brano. Quindi, un'indagine e una sperimentazione sul suono che coinvolgono in un tutt'uno ogni parametro musicale: le altezze, il timbro, il ritmo.
Ad accompagnare D'Andrea in questo nuovo capitolo della sua avventura musicale un ottetto formato dal sestetto ormai storico composto da Andrea Ayassot ai sassofoni, Daniele D'Agaro al clarinetto, Mauro Ottolini al trombone, Aldo Mella al contrabbasso, Zeno De Rossi alla batteria a cui si aggiungono le sonorità della chitarra elettrica di Enrico Terragnoli e dell'elettronica di Andrea Roccatagliati, in arte Dj Rocca.
Intervals I e II sono le due facce della stessa medaglia. Il repertorio di entrambi i volumi è basato su brani i cui temi sono caratterizzati da particolari combinazioni intervallari o da singoli intervalli, da cui scaturiscono improvvisazioni collettive.
Il primo volume è la registrazione integrale del concerto che l'Ottetto ha tenuto il 21 marzo 2017 all'Auditorium Parco della Musica di Roma. In esso si avverte la tipica onda dei concerti di Franco D'Andrea: grazie alla grande familiarità che D'Andrea ha con i propri musicisti e che loro hanno con la sua musica, tutto avviene in una sequenza logica, spontanea lungo un unico ampio arco narrativo.
Il secondo volume raccoglie brani registrati durante le prove per il concerto del 21, tenutesi lo stesso giorno del concerto e il giorno precedente. Rispetto al concerto, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a piccoli episodi chiusi nei quali l'Ottetto suona seguendo in modo estremamente rigoroso la logica costruttiva intervallare, quasi fossero altrettanti piccoli studi su un determinato intervallo o su una determinata combinazione intervallare.
La scelta di pubblicare le registrazioni separatamente in due volumi e in due diversi momenti nasce proprio dal diverso carattere delle due session, oltre che dalla considerazione che una musica così impattante, dirompente e potente abbia bisogno di tempo per essere interiorizzata.
Accanto a brani più strutturati, i cavalli di battaglia di D'Andrea, che pur nascono in un ambito intervallare ristretto e caratterizzante, ci sono brani totalmente improvvisati basati su un singolo intervallo o su una coppia di intervalli. In essi ogni musicista utilizza l'intervallo o la coppia di intervalli come base per l'improvvisazione tematica generando sviluppi melodici, riff e contrappunto improvvisato.
Dipende da quello che succede ogni volta tra noi. Di solito usiamo dei segnali musicali per entrare in un brano o nell'altro. E i segnali musicali possono essere dati da chiunque. Nel concerto – spiega Franco D'Andrea - è avvenuto in maniera naturale. Nella session studio, invece, ho voluto che fosse registrato tutto, anche le prove e le cose più bizzarre. La nostra preoccupazione era provare i brani e le varie strategie. Alcuni brani erano improvvisazioni collettive che avevano come struttura un solo intervallo. Vuol dire che quello risultava un intervallo sensibile e importante per dare il colore al brano. Tutto il resto era creato al momento. Questo è avvenuto anche nel concerto. In tutti e due i dischi - continua D'Andrea - il resto del repertorio è costituito da brani più o meno strutturati; alcuni con una struttura più estesa, meno improvvisati e con un tema e un contesto armonico preciso. Possono esserci dei riff o degli obbligati, però, anche questi si riferiscono all'aspetto intervallare.
Quello che potrebbe sembrare un sistema rigido o chiuso, è in realtà solo un sistema di riferimento, come potrebbero esserlo la modalità, la tonalità o il serialismo, solo più libero. Un sistema che permette una grandissima libertà espressiva ai musicisti liberandoli da ogni altro sistema di riferimento e garantendo al tempo stesso un'estrema coerenza, non astrattamente intellettuale, ma sonora.
Aspetto fondamentale di Intervals è la ricerca sul suono. D'Andrea ha sempre amato ampliare le possibilità timbriche di ogni strumento portandolo all'estremo delle proprie possibilità, fin quasi a farlo diventare altro per mezzo dell'effettistica. In questo modo, anche grazie alle innumerevoli combinazioni strumentali che possono di volta in volta presentarsi, un ottetto può apparire una formazione ben più ampia di quello che è.
In Intervals per prima volta D'Andrea si cimenta con una formazione allargata comprendente sia strumenti acustici che elettronici. Questi ultimi chiamati al gioco dell'interplay alla stregua degli strumenti acustici.
Grazie all'uso dell'effettistica, la sezione costituita da Dj Rocca e da Enrico Terragnoli amplia enormemente l'orizzonte timbrico dell'ottetto. Inoltre, Dj Rocca utilizza l'elettronica sia in funzione timbrica che ritmica raddoppiando la propria funzione. Grazie a ciò e alla grande libertà concessa da D'Andrea ai musicisti, l'ottetto appare una formazione molto più ampia all'interno della quale i suoni acustici ed elettronici convivono in modo naturale.
Alla fine dei conti e al di là di ogni considerazione tecnica, la musica contenuta in questi due dischi altro non è che il magmatico e incandescente flusso di coscienza di un Ottetto che respira come fosse un unico individuo.
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