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martedì 19 dicembre 2017

Vanterrania - Electronix


«Electronix» è lo sconvolgente album di debutto di «Vanterrania», che ad un primo ascolto entra direttamente nel cervello tramite connessioni matrixiane. Entriamo cosi nel suo mondo primitivo formato da due poli: il rock e l'elettronica. Gli strumenti utilizzati sono synth, sequencer e chitarre sflangerate dello stampo tipico degli anni '80; ha iniziato proprio in quegli anni ad esibisirsi nel territorio natio, Catania.

Ma torniamo al disco, che parte subito con ritmiche serrate, crudi accordi e distorsioni onnipresenti; il pezzo si chiama «Cyber» e dentro di esso riecheggia quella voce mostruosa che sentenzia: «one of these days i'm going to cut you into little pieces».

Con «Data wave» si ha l'impressione di rimanere nello stesso distopico mondo di «Cyber» con la differenza che i suoni cominciano ad assottigliarsi; le distorsioni da taglienti come lame di rasoio diventano pelle morta sporca.

«Electronix 09» e «Enigma» segnano l'inizio di un virtuosismo chitarristisco non indifferente, che spazia dalla velocità di esecuzione fino alle melodie che toccano con sensibilità note di Bowieniana memoria.

Ed eccoci arrivati alla quinta traccia del disco, si dice «Traccia» di qualcosa che rimane impressa in un qualsivoglia supporto e «Field» si stampa come un'orma sulla fanghiglia di una palude inabitata. Qui si assiste a una discesa sonora che sembra voler preannunciare qualcos'altro, scandita da un battito cardiaco incarnato dalla veemenza della cassa.

«H2o» fa intendere che Vanterrania ha bisogno di rilasciare chitarristicamente uno sfogo psico-orgasmatico come si ha bisogno dell'acqua.

«High Voltage» ed «On» si differenziano per bpm; infatti con la prima ci riallacciamo a «Field» e con la seconda ad «H2o», sembra che Giovanni Brancati alias Vanterrania voglia farci diventare poco più che numeri nella sua equazione fatta di battiti per minuto.

Ed ecco «Robot»: un pezzo di 8 minuti circa che ci introduce delle sonorità metalliche dalle sembianze violinistiche, qui riusciamo a vedere con i nostri occhi un colosso futuribile armato di cannoni laser ebombe al plutonio.

«Mega», la nona traccia di questo album si presenta forse come la più accattivante e avvincente , attraverso una struttura-canzone con più appeal rispetto alle precedenti, dati anche i cambi degli accordi ritmici frequenti e repentini: senza sbilanciarsi, siamo di fronte al pezzo realizzato con maggior incisività, dalle suggestioni on the road post apocalittiche.

«Virtual Love» ci ripropone le sonorità sperimentate a suo tempo da Mick Ronson, braccio destro di Bowie negli Spiders from Mars e con «Mechanical Arms» siamo arrivati alla fine di questo disco che si conclude con schitarrate noise ubriacanti.

Questo disco ci è piaciuto per il suo intento creativo, il lavoro nel complesso risulta omogeneo, ma a volte fin troppo; d'altronde si parla di elettronica e quindi non possiamo attribuire grandi colpe all'autore in merito alla ripetitività.

Aspettiamo con impazienza il secondo disco per scoprire l'evoluzione del suo particolare stile artistico che a detta sua è in continua sperimentazione:«la sperimentazione non può fermarsi e spinge alla ricerca di nuovi modi di composizione sia analogiche che digitali, aspirando sempre più al raggiungimento della sonorità desiderata ».

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